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mercoledì 18 luglio 2012

Intervista doppia

L'intervista doppia, contrariamente a quanto si creda, non è stata un'invenzione delle Iene. Chi di noi, in effetti, non si è mai trovato perso nei propri pensieri, a confrontare la propria vita oggi con quella dello stesso periodo, uno, due o dieci anni prima? Una sorta di intervista doppia con i nostri ego passati l'abbiamo inventata tutti, dovrebbe essere rilasciata con licenza Creative Commons o, meglio, Le Iene dovrebbero versare una piccola quota per il copyright a ciascuno di noi.

In questi giorni, l'intervista doppia tra la Marghe di Balaka e quella di Washington DC si ripropone nella mia mente a più riprese. 
Mentre cammino per andare in ufficio, alle 8 del mattino (prima differenza, perché a DC non importa tanto se entri presto, quanto piuttosto se tutti vedono che lavori fino a tardi), osservo le impronte sulla terra  che copre la strada (differenza numero 2: niente asfalto) e noto che non solo nessuna porta il marchio Nine West, ma molte sono proprio orme di piede, segno che le calzature non rappresentano, come dire, un "must" per la moda locale (e 3)
Se poi un anno fa al mattino mi imbattevo al massimo in cagnolini di taglia infima, tutti impettiti e adornati da collarini scintillanti di ogni foggia e colore, oggi gli animali che camminano con me lungo la strada sono prevalentemente polli e caprette, che con quelle cornuzze appuntite immagino farebbero passare all'istante la boria dei menzionati cani da borsetta (differenza numero 4). 
Sulla via per il lavoro, inoltre, a DC incrociavo qualcosa come 50 differenti esercizi commerciali (prevalentemente CVS, bar e ristoranti). Oggi ne incrocio uno all'andata e tre durante la pausa pranzo (la ragione di questa discrepanza è che ci sono delle signore che verso quell'ora si sistemano con dei teli per vendere alcuni pomodori). E stiamo a 5.

Gli animali fastidiosi dei quali doversi liberare nella capitale del mondo, erano in questo periodo i grilli (che come una non indifferente piaga d'Egitto avevano invaso la mia dimora nel nord-ovest della città) ed i funzionari di varie organizzazioni internazionali. Oggi, differenza numero 6, me la vedo con formiche di varia taglia, ragni e zanzare (alcune delle quali probabilmente anofeli). Picchi di esotismo in passato erano stati toccati in occasione dell'incontro ravvicinato col procione (avventatosi alla finestra di casa mia al terzo piano), mentre qui, come i più fedeli sapranno, ho rilanciato con ippopotami, coccodrilli e mosche tsè tsè. Numero 7.

Per la gioia di tutti, potremmo continuare di questo passo fino a notte inoltrata, perdendoci in comparazioni senza senso e confortati dal fatto che è evidente, dopotutto, che luoghi tanto diversi della Terra abbiano in comune poco o nulla.

Tuttavia, non ho potuto resistere ed ho messo insieme un simpatico specchietto a corredo dei pensieri che mi tartassano tra un' "auto-intervista doppia" e l'altra.

Ci sono, in effetti, differenze e differenze.

Ci sono quelle belle, da preservare, tutelare e difendere. Come le culture, gli idiomi, le tradizioni, le personalità di ciascuno di noi, i nostri gusti, le nostre preferenze.

Ci sono poi quelle per così dire neutre, ma che comunque contribuiscono a conferire un po'di brio al nostro quotidiano: i colori dei capelli, le forme del viso, le espressioni, le magliette e le sciarpe che indossiamo, il cibo che mangiamo.

Ci sono infine le differenze mannare, quelle che si appiccicano alle vite delle persone come parassiti affamati  e sembrano impossibili da scalzare, a dispetto della quantità smisurata di vesti strappate negli ultimi 60 anni. 

Quelle differenze al sapore di vita o di morte, che determinano ad esempio che, in caso di bisogno, uno statunitense abbia (almeno in teoria) a disposizione 140 volte il numero di medici ai quali può fare ricorso un malawiano.

Quelle differenze beffarde per cui nonostante l'HIV si contragga più o meno in egual misura di qua e di là, se vivi in USA hai il triplo delle possibilità di sopravvivenza di un Malawiano. 

Quelle amare, per le quali il tasso di mortalità infantile in Malawi è 15 volte quello statunitense. 

Quelle differenze, infine, quasi ridicole, per le quali sul Pianeta Terra ad oggi esistono almeno 178 individui che possono vantare un reddito maggiore o uguale di quello di uno paese che di persone ne ospita più di 16 milioni.

Paese
USA
Malawi
Presidente
Barack Obama, uomo, afroamericano
Joyce Banda, donna, africana
Capitale
Washington D.C.
Lilongwe
Il mio indirizzo
1200 N Street NW, 20005, Washington DC
P.O. Box 318, Balaka, Malawi
Piatto nazionale
Hamburger
‘nsima
Valuta
Dollaro
Kwacha
Cambio dollaro/valuta locale
1
0,0002
Popolazione
313.847.465
16.323.044
Internet country code
.us, .com, .edu, .gov, .mil, .net, and .org
.mw
Utenti internet nel paese
245 milioni
716.400
Rete stradale nazionale
6.506.204 km, di cui 4.374.784 km asfaltati
Strade:  15.451 km, di cui 6.956 km asfaltati
Età mediana della popolazione
36,9
17,2
Linee telefoniche in uso nel paese
151 milioni
160.100
Numero di cellulari in uso nel paese
279 milioni
 3,038 milioni
PIL
PIL: 15,04 trilioni di dollari
PIL: 5,7 miliardi di dollari
PIL per capita
$ 48.100
$ 900
Composizione del PIL

Agricoltura
Industria
Servizi



1,2%
19,2%
79,6%
   

         
90%
10% (industria e servizi)
Quota di PIL destinata a spese militari
4,06%
 1,3%
Consumo di elettricità
3.741 miliardi di Kw/h
 1,559 miliardi di kWh
Popolazione al di sotto della soglia di povertà
(reddito giornaliero inferiore a 1 dollaro al giorno)
15.1%
53%
Gruppi etnici presenti nel paese
 bianchi (79.96%), neri (12.85%), asiatici (4,43%), indo-americani o nativi dell'Alaska (0.97%), nativi delle Hawaii o di altre isole del pacifico (0,18%), altri (1.61% )
Chewa (32.6%), Lomwe (17.6%), Yao (13.5%), Ngoni (11.5%), Tumbuka (8.8%), Nyanja (5.8%), Sena (3.6%), Tonga (2.1%), Ngonde (1%), altri (3.5%)
Decessi annui per HIV/AIDS
17.000
51.000
Numero di persone affette da HIV
 1.2 milioni
920,000
Numero di medici ogni 1000 abitanti
 2,672
0,019
Tasso di mortalità infantile
5.98 deaths/1,000 live births
79.02 deaths/1,000 live births
Aspettativa di vita alla nascita
78.5 anni
53 anni
Prima causa di morte nel paese
Malattie cardiovascolari
AIDS


giovedì 12 luglio 2012

Parte II - I signori delle mosche


Dopo una serie di risate liberatorie, insulti non propriamente sussurrati al compagno Billy, elogi segreti alle radio di bordo ed alla Guardia Costiera di Ostia, nonché un bel pranzo a base di pesce gumbo e patatine, siamo di nuovo in marcia, questa volta per il giro via terra.
Entusiasti e felici di poterci addentrare nel regno di Pumba, Timon e compagni, armiamo le nostre macchine fotografiche e varchiamo una volta ancora le soglie del Parco Nazionale di Liwonde. Che però non deve avere in simpatia italiani e olandesi, sospetto. Infatti, dopo i primi cento metri, dai finestrini che ignari avevamo abbassato per tornare in casa con un sacco di antilopi, facoceri ed ulteriori elefanti racchiusi nelle nostre schedine SD, vediamo entrare decine di mosche di varie dimensioni che allarmano perfino il flemmatico Billy! Infatti la nostra guida si ferma, ci intima di chiudere ed armato di spray ammazzatutto inizia a spruzzare all’impazzata: sono MOSCHE TSÈ- TSÈ! O meglio, potrebbero esserlo. Come questa volta Giorgio Celli potrebbe spiegarci (sì, quella specie di Giuliano Ferrara appassionato di insetti, e dunque decisamente meno nocivo di quello appassionato di politica), la tsè-tsè non è banalmente una moschina che fa venire sonno, ma qualcosa di un filo più serio, diciamo. Per questa ragione, dopo che anche l’ultimo potenziale agente infettante era stato fatto secco a colpi di FLIT, mi sono goduta il game drive letteralmente avvolta in tutto il tessuto che avevo a disposizione, con i vetri dell’auto serrati e una temperatura interna che piacevolmente saliva di 5 gradi ogni minuto, in perfetta linea con la mia filosofia viveremale.it.


A fine giornata, il tramonto ed il sole infuocato che si appoggiava sulle nostre teste mentre gli elefanti si allontanavano uno dietro l’altro dalle rive del fiume, per andare a dormire sulle colline, mi hanno ripagato di tutte le scene di paura e delirio descritte ed ho imparato, che da queste parti, se sei una muzungu ansiogena ed urbana come la sottoscritta, il primo giorno temi la malaria, il secondo la tubercolosi, il terzo le formiche rosse, il quarto la mosca tse tse ed il quinto tiri un sospiro di sollievo e ti affidi soltanto all’entità soprannaturale che preferisci.

giovedì 5 luglio 2012

Carlsberg

Niente internet per noi, quindi per chi legge si tratterà per forza di un nuovo racconto in differita.
Oggi dopo il lavoro sono stata al baretto del suburbio di Balaka, il 4 Ways, che sorge proprio al crocevia tra le strade che portano a Balaka, Lilongwe, Blantyre e Zomba (credo). C’era Tamara, una tizia dell’Oregon sposata con un bergamasco e che gestisce un negozio di artigianato qui a Balaka; c’era George, un ragazzo di qui che si occupa di informatica; e c’era Joseph, un giornalista di Balaka che lavora a Montfort Media, il più grande centro multimediale malawiano.
Adesso, immaginatevi la scena: una donna di Portland, due Balakiani e due italiani che bevono Carlsberg in un bar di 10 m² e discutono di CINESI. Incredibile! Si parla di cinesi anche qui! Già, perché di cinesi (anche) il Malawi è pieno! Cinesi e indiani! Il cotone li ha chiamati fin qui e loro senza batter ciglio han risposto alla chiamata del business! Coltivo l’ambizione segreta di conoscerne qualcuno e di riuscire a parlarci, per capire cosa li spinga fin qua oltre il soldo, cosa si aspettino da questo loro investimento e quale sia l’orizzonte temporale entro il quale hanno stimato di riuscire a cavarci qualcosa. E quali sono i loro piani? Pensano di stabilirsi qui? E perchè proprio in Malawi, nel cuore caldo dell’Africa, dove non c’è niente se non un poca di materia prima? Nemmeno la manodopera è locale! Il governo cinese ha preso accordi con questi imprenditori ed i detenuti vengono spediti a lavorare qui dalle carceri nazionali! Incredibile! Ma è ovvio allora che fino a che la manodopera sarà completamente gratuita ed in più fornita da un governo non propriamente liberale, nemmeno quella africana, low cost per antonomasia, potrà competervi!
Campi di cotone malawiani
Ma a parte il mancato impiego di operai locali, pare che vi sia un detto che vagola tra l’Ovest e l’Est dell’Africa. Pare che si dica che i bianchi siano venuti, abbiano investito, abbiano preteso qualcosa indietro ed abbiano infine imposto un cambiamento nei costumi locali. E che per questo siano invisi ai più. Al contrario, si dice, i cinesi sono arrivati, hanno investito e preteso qualcosa indietro, ma senza interessarsi in alcuna maniera di tutto il resto, di tutto il circostante. E che perciò siano in qualche maniera bene accetti, nel continente nero.
Dirà qualcuno: “Sì, va bene, ma già che ci sei, buttalo un occhio, non rimanere sempre chiuso nel tuo mondo, questi cinesi si fanno sempre gli affari loro”. Ma, mi chiedo, non sarà forse molto meglio farsi gli affari propri in toto, se poi l’interesse si deve tradurre in quella storia africana che più o meno tutti abbiamo in mente? E, corollario, tratto direttamente dai pensieri di Joseph, il giornalista: “Chissà se adesso i bianchi guardano ai cinesi con invidia. Chissà se adesso tutti quegli inglesi, quei francesi, quei portoghesi e tedeschi che se ne sono venuti qui 60 anni fa, penseranno: “Beh certo, avremmo potuto fare come loro”.
E chissà oggi che Africa sarebbe se Kurtz e tutti gli altri si fossero davvero fatti gli affari loro. Chissà dove sarebbero Tamara, Joseph, Dario, George e Margherita adesso, invece che qui, attaccati alle loro Carlsberg, al crocevia più ignoto della terra, a parlare della Cina e di tutta la terra, con la faccia e le mani sporche di terra, perché qui intorno, in fondo, la terra è davvero l’unica cosa che non manca.

mercoledì 4 luglio 2012

Malawi!


Il battesimo africano si tiene nella notte del 4 luglio 2012, a bordo di un velivolo Ethiopian Airlines che ricorda molto uno qualsiasi dei voli American Airlines utilizzati per la tratta Baltimore-Houston. Le hostess di seconda classe sono normali, ma quella che assiste i passeggeri di prima classe, che intravedo da dietro la tendina che separa noialtri poveracci dai danaruti, indossa un abito semi-tradizionale bianco, lungo fino alla caviglia e con una fascia colorata e piena di fiori che dalla spalla scende fino ai piedi. È, in pratica, una figa paurosa, ed osservarla mi ricorda che quando arriverò a destinazione, ai miei occhi si paleserà immediatamente l’inferiorità biologica dell’uomo e della donna bianchi. Tuttavia, accetto di buon grado lo stato dei fatti, e l’idea che per settembre avrò finalmente fatto la fine del colonnello Kurtz un poco mi conforta, giacché per allora e tutti i miei problemi saranno, in un modo o nell’altro, risolti.
Il volo Roma-Addis non è stato malvagio. Lo staff parlava amarico ed inglese e nel video con le misure di sicurezza proiettato prima del decollo, la grafica era meravigliosamente anni Novanta. Durante il decollo e l’atterraggio si intimava di spegnere il Walkman, il Nokia Gsm (quello enorme con l’antenna rigida e le mascherine intercambiabili!) ed il GameBoy. L'ultimo avviso, inoltre, ricordava di non attaccare la stampante al laptop durante il volo. Sai mai.
Malawi e nuvole
Se poi non avessi in passato frequentato con assiduità i bagni del terminal del bus di Puno, nel sud del Perù, probabilmente sarei rimasta colpita da un paio di scene osservate nella toilette dell’aeroporto etiope: la signora che scatarrava nel lavandino, l’altra che faceva pipì a porta aperta e quella che come massimo gesto di solidarietà femminile, uscendo mi ha porto un fazzoletto di carta, sussurrando sdegnata: “There’s no more toilet paper, I want u to have more
luck than me”. Ma io, si sa, in questi posti mi sento a casa (non scatarro nel lavandino a casa, ma la pipì con la porta aperta la faccio eccome!).


Il mio primo baobab!


Durante il volo da Addis a Lilongwe ho visto il Kilimanjaro e il lago Malawi, il terzo più grande dell’Africa, tanto per non farci mancare nulla. Il cucuzzolo del Kilimanjaro era perfino imbiancato ed io alla vista della neve in Africa mi sarei anche potuta sentire un po’ come il compagno Hemingway, o come la signora del Benigni in quel bel film, se d’un tratto l’aereo non avesse cominciato paurosamente ad abbassarsi di quota mentre intorno a noi non appariva evidentemente NIENTE. Cioè, non proprio niente NIENTE. Diciamo un niente in termini di strutture aeroportuali. O in termini delle solite casette che mano a mano che scendi diventano sempre più grosse. O di automobili che da formiche diventano quasi di dimensioni naturali, segno che l’aeroporto è vicino, la pista pure e tutto insomma si è svolto un po’come avevi più o meno segretamente auspicato. Ebbene, dicevo, niente di tutto questo. Noi scendevamo, le ali dell’aereo vibravano, i flap sventolavano e sotto di noi potevo osservare unicamente sassi (molti), arbusti (qualcuno) ed una distesa infinita di terra rossa. IN-FI-NI-TA. E noi che scendevamo. Terra, sassi, discesa, terra. Discesa, sassi, terra. Discesa, discesa, ancora discesa, arbustino, discesa. Giuro che ho pensato di essere nel bel mezzo di un atterraggio di fortuna, dissimulato dal pilota per non far scatenare il panico nell’aereo. D’un tratto invece, in quella natura morta che incorniciava i miei timori, come per magia, ecco una striscia d’asfalto materializzarsi sotto il nostro carrello e, figlia unica di madre vedova, è proprio lei che ci conduce dritti dritti nella diritta direzione. Sono a Lilongwe!

Viveremal(awi).it
Nel viaggio fino a Balaka ho provato il più possibile a stare all’occhio, ma il sonno si è impossessato di me a più riprese. Come una bambina, mi sono stupita di almeno il 75% delle cose che ho visto, commentando tra me e me con una serie di “ma allora è vero”, “ma allora anche qui”, “wow guarda lì”. Non mi ha invece sorpreso il numero di chiese, moschee e gruppi religiosi di vario genere che coprivano la distanza tra Lilongwe e Balaka (circa 180 km): ne avrò contati una ventina, durante la veglia, e non oso immaginare a quanti sarei arrivata se non avessi dormito.
In questo momento sono le 22.05, e scrivo protetta dalla zanzariera che ho calato provvidenzialmente sul mio lettino. Gli unici centimetri di pelle scoperta sono quelli delle mani e la faccia, ma sono stata molto attenta e non mi sembra di avere avvistato bestie anofeli nei paraggi (abbiamo trasmesso la serie “le ultime parole famose”).
La struttura dove dormo è carinissima, siamo stati accolti da un sacco di gente sorridente ed è stata anche preparata una torta di benvenuto, servita a ritmo di musica. Qui stavo pure per rovinarmi mettendomi a tugnare fin dal primo giorno, ma invocando il potere di Grey Skull sono riuscita a trattenermi. La serata si è quindi conclusa a chiacchiere politiche: io unica donna in mezzo agli uomini che fumavano e bevevano discutendo di dittature buone o cattive, proprio come la più tradizionale delle società vittoriane, non fosse stato, appunto, per la mia (sconveniente) presenza (ma avevo comunque le caviglie coperte). Visto che ancora devo abituare un poco l’orecchio all’accento ed avevo un sonno incredibile, ogni tanto lasciavo gli uomini al loro dibattito e mi perdevo tra le pagine del settimanale “Jesus”, che campeggiava sul tavolino. Una su tutte, quella recante le rimostranze di una fedele cattolica, che non riusciva proprio a capacitarsi come mai i fratelli protestanti su temi di bioetica si schierassero sempre contro le posizioni di Sacra Romana Chiesa. Insomma, qui in Malawi non ci facciamo mancare proprio nulla.