giovedì 5 luglio 2012

Carlsberg

Niente internet per noi, quindi per chi legge si tratterà per forza di un nuovo racconto in differita.
Oggi dopo il lavoro sono stata al baretto del suburbio di Balaka, il 4 Ways, che sorge proprio al crocevia tra le strade che portano a Balaka, Lilongwe, Blantyre e Zomba (credo). C’era Tamara, una tizia dell’Oregon sposata con un bergamasco e che gestisce un negozio di artigianato qui a Balaka; c’era George, un ragazzo di qui che si occupa di informatica; e c’era Joseph, un giornalista di Balaka che lavora a Montfort Media, il più grande centro multimediale malawiano.
Adesso, immaginatevi la scena: una donna di Portland, due Balakiani e due italiani che bevono Carlsberg in un bar di 10 m² e discutono di CINESI. Incredibile! Si parla di cinesi anche qui! Già, perché di cinesi (anche) il Malawi è pieno! Cinesi e indiani! Il cotone li ha chiamati fin qui e loro senza batter ciglio han risposto alla chiamata del business! Coltivo l’ambizione segreta di conoscerne qualcuno e di riuscire a parlarci, per capire cosa li spinga fin qua oltre il soldo, cosa si aspettino da questo loro investimento e quale sia l’orizzonte temporale entro il quale hanno stimato di riuscire a cavarci qualcosa. E quali sono i loro piani? Pensano di stabilirsi qui? E perchè proprio in Malawi, nel cuore caldo dell’Africa, dove non c’è niente se non un poca di materia prima? Nemmeno la manodopera è locale! Il governo cinese ha preso accordi con questi imprenditori ed i detenuti vengono spediti a lavorare qui dalle carceri nazionali! Incredibile! Ma è ovvio allora che fino a che la manodopera sarà completamente gratuita ed in più fornita da un governo non propriamente liberale, nemmeno quella africana, low cost per antonomasia, potrà competervi!
Campi di cotone malawiani
Ma a parte il mancato impiego di operai locali, pare che vi sia un detto che vagola tra l’Ovest e l’Est dell’Africa. Pare che si dica che i bianchi siano venuti, abbiano investito, abbiano preteso qualcosa indietro ed abbiano infine imposto un cambiamento nei costumi locali. E che per questo siano invisi ai più. Al contrario, si dice, i cinesi sono arrivati, hanno investito e preteso qualcosa indietro, ma senza interessarsi in alcuna maniera di tutto il resto, di tutto il circostante. E che perciò siano in qualche maniera bene accetti, nel continente nero.
Dirà qualcuno: “Sì, va bene, ma già che ci sei, buttalo un occhio, non rimanere sempre chiuso nel tuo mondo, questi cinesi si fanno sempre gli affari loro”. Ma, mi chiedo, non sarà forse molto meglio farsi gli affari propri in toto, se poi l’interesse si deve tradurre in quella storia africana che più o meno tutti abbiamo in mente? E, corollario, tratto direttamente dai pensieri di Joseph, il giornalista: “Chissà se adesso i bianchi guardano ai cinesi con invidia. Chissà se adesso tutti quegli inglesi, quei francesi, quei portoghesi e tedeschi che se ne sono venuti qui 60 anni fa, penseranno: “Beh certo, avremmo potuto fare come loro”.
E chissà oggi che Africa sarebbe se Kurtz e tutti gli altri si fossero davvero fatti gli affari loro. Chissà dove sarebbero Tamara, Joseph, Dario, George e Margherita adesso, invece che qui, attaccati alle loro Carlsberg, al crocevia più ignoto della terra, a parlare della Cina e di tutta la terra, con la faccia e le mani sporche di terra, perché qui intorno, in fondo, la terra è davvero l’unica cosa che non manca.

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