La storia del mio debutto nel regno di Simba incomincia di sabato sera.
Lucius Banda, stella splendente nel panorama musicale malawiano si esibisce al
Ndevu Lodge (il “barba” lodge, dall’evidente attributo del suo proprietario) ed
è impossibile non cogliere al volo la proposta di un collega che ci invita ad
andare con lui. È anche impossibile immaginare che dalle 17.30, orario in cui
saliamo in macchina, il concerto abbia inizio a mezzanotte passata e duri –
innaffiato da quantità spropositate di Carlsberg che mietono un dignitoso
numero di vittime – fino alle 4 del mattino. In questo delirio musicale,
lasciando da parte la vecchiaia incalzante che trasforma il mio volto in quello
della Strega del mare a mezzanotteezerouno, la temperatura raggiunge minimi
Vostokiani, omaggiandomi di una bella bronchite di benvenuto in risposta a
tutti i luoghi comuni che mi portavo dietro (nella fattispecie il numero 7: “In
Affriha gl’è cardo”).
Insomma, la mattina seguente, con 3 ore di sonno sulle spalle e la voce e
le sembianze della signorina Silvani, mi preparo a conquistare la SAVANA!
La prima parte del safari, in perfetto stile Jonathan Livingstone, si
svolge su di una barchetta a motore, che risalendo il fiume Shire ci
teletrasporta in un vero documentario di Piero Angela!
Martin Pescatori, uccellini spulciatori bianchi e neri, ippopotami, baobab,
signori in canoa che ci guardano a buon diritto come fossimo delle fave mentre,
enorme il cielo e sempre più enorme lo Shire, ci addentriamo nei meandri del
Parco Nazionale di Liwonde.
A bordo sono con Dario, il mio collega, Miriam e Khun, una coppia olandese
in vacanza, un ragazzo ed una ragazza malawiani e Billy, la nostra guida, accompagnato
dal suo assistente.
Billy è esaltante. Il suo sorriso è splendente e ci racconta le storie
degli animali e del fiume come fossimo bambini. Poi scopriamo che prima di
accompagnare per mano gli esseri urbani
in uno dei tanti cuori dell’Africa, era un contabile e faceva parte dello staff
di 5 persone che per primo mise in piedi un quotidiano al tramonto della
dittatura, all’inizio degli anni Novanta. Questo mi entusiasma ancora di più e
inizio a tempestare il compagno Billy di domande quando come per magia... gli
elefanti!!!
È incredibile! Veri, a frotte, piccoli, grandi, maestosi, pacifici! E, quel
che è più, non mi trovo a Pistoia e non c’è puzza di Moira Orfei nei paraggi!
Sono davvero a un passo da noi e Billy ci fa notare quanto siamo fighi ad
andare così vicino alla costa per osservarli, mentre l’altra barca di turisti
danarosi s’è fermata a 500 metri da qui e già sta facendo ritorno.
Dopo una buona mezz’ora e tonnellate di foto sulle quali, entusiasti come
bambini, non abbiamo lesinato, decidiamo di riprendere la navigazione e
muoverci alla volta dei coccodrilli.
...
...
...
Krruktktktktk
Ktrrrrrrrrrrrrrrrrutktktkt
KTRRRRRRRRRRRRRRUUUUUUUUKTOROTOROTOROTOROTOROTOROTOROTOTOTOTOTOTOTOTOTO
Ffffiuuù... per un attimo avevamo tutti temuto il peggio, il motore
sembrava esitare a ripartire! Ahahah! Che sciocchina!
TOTOTOTOTOTOTOTOTOto-to-ttto-tto-to-to.
...
...
...
...
Sguardi allarmati tra Billy ed il suo secondo si avvicendano rapidi come
fucilate sulle nostre teste. Il compagno addetto al motore lo scoperchia,
mentre uno dei ragazzi malawiani a bordo recupera una canna incastrata sul
tettino della barca ed inizia a ravanare nella zona dell’elica. Sento la
tensione nell’aria ed io che SONO la tensione, di certe cose me ne intendo.
Siamo stati così fighi che le alghette ed il fango della riva alla quale ci
siamo avvicinati a motore acceso per fare amicizia con i lungonasuti animaloni,
si sono infilati chissà dove ed ora LA BARCA NON VA PIÙ!!! Il motore si avvia,
ma non ci assiste ed ora tutti gli armeggiano intorno mentre il nostro natante
si lascia trasporare dalla corrente. E così duriamo per un’ora e mezzo. Dei
compagni di viaggio, manco a dirlo, la più esagitata sono io. Due a dire il
vero se la dormono pure, ma sono novanta minuti che Billy ci ripete che tra
un attimo arriverà qualcuno e noi invece continuiamo a navigare a casaccio
per lo Shire. Ed allo scoccare del novantunesimo, come quando sul 3-0 credi che
non possa oramai andare peggio di così, il motore smette COMPLETAMENTE di
andare! Il silenzio si abbatte su di noi come una martellata sulle ginocchia e
tutta la poesia del momento, il placido rumore dell’acqua, il canto degli
uccelli ed il fruscio dei canneti, si dilegua in meno di un secondo,
rimpiazzata da meno piacevoli pensieri e dai rumori delle bestie di 3000 kg che
si aggirano intorno a noi.
Penso a Kurtz. Penso a Marlow ed al vecchio medico che lo visitò prima che
lasciasse l’Inghilterra: “Avoid irritation more than exposure to the sun! In
the tropics one must before everything keep calm”. Penso a Piero Angela e a
Steve Irwin. Penso all’IPPOPOTAMO che SI STA AVVICINANDO! Gli ippopotami – se non
ve lo ha detto Piero Angela, ve lo dico io – emettono dei versi abbastanza
conturbanti, come dei grugniti infernali, il cui suono è reso ancora più sordo
dalla presenza dell’acqua, che in qualche modo attutisce il rumore, ma lo rende
anche molto più inquietante. Sempre se nelle sere d’estate da bambini avevate
dei buoni amichetti con cui giocare – evidentemente a differenza della
sottoscritta – vi dico pure che l’ippopotamo ha delle fauci ENORMI e dei denti
delle dimensioni delle nostre dita. Viste? Ecco, proprio così.
L’ippopotamo dunque ci osserva, avvicinandosi e ripensandoci, per poi
decidere di immergersi e nuotare sotto l’acqua. Cerchiamo di seguire il
movimento delle bolle, che sembrano allontanarsi, nonostante un paio di volte
la barca ondeggi in maniera insolita, permettendo all’adrenalina di librarsi
gaudiosa nel mio sistema nervoso. Ma se la paura di essere sbranata
dall’ippopotamo riesco a contenerla entro i limiti della decenza (in tempi non
sospetti Billy ci aveva spiegato che la barca pesa 5 tonnellate e l’ippopotamo
solo 3, dunque non dovremmo correre troppi rischi in caso al bestione gli
pigliassero i cinque minuti), quando fa capolino anche il compagno coccodrillo
scatta davvero il terrore. Il TE-RRO-RE. E scattano pure i fioretti. Anche i
tranquilloni della situazione che sono a bordo mostrano segnali di allarme. Afferro
il telefono e faccio per scrivere un messaggio alla mia amica del cuore. Lo
ripongo perché so di essere preda del FREAK-OUT, ma non ce la posso fare. Ho
visto troppi documentari su storie agghiaccianti per non udire una voce
estranea sussurrarmi nelle orecchie: “Ah-ha! Te piacevano eh, le disgrazie dell’artri”, alla quale fa immediatamente eco la guardia pontificia che provò ad arrestare il
marchese del Grillo: “E mò so’cazzi tua! So’caaaaaazzi tua!”. Uno dei ragazzi
malawiani, che aveva con sé una fionda, inizia a lanciare COSE verso l’acqua.
Scoprirò dopo che mirava ai coccodrilli. Continuo a chiedere quando arriveranno
i soccorsi e penso alla Guardia Costiera di Ostia e a quel baldo giovine in
servizio sul litorale romano a cui non potrò mai riportare i fuochi di
segnalazione scaduti.
Sono trascorse praticamente due ore e da qualche parola
che Billy scambia col suo secondo intendo che qualcosa sta succedendo! Qualcosa
di buono, evidentemente, poiché da dietro un’isoletta spunta un barcozzo
rombante pilotato da un giovane che adesso mi sembra ancora più bello del mio
guardacoste! Siamo salvi!!!
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